Il Festival prende spunto dalla montagna, uno dei tanti simboli archetipici della storia dell’umanità, parlando sia di scalate eroiche e conquiste che di linguaggio simbolico.
In tutte le culture, infatti, la montagna ha una forte valenza simbolica ed è presentata quale dimora divina, ambientazione di miti, luogo di unione tra il cielo e la terra. E’ sul monte che Dio si abbassa a parlare agli uomini; è sul Monte Sinai che Dio consegna le tavole della sua legge; è un monte, il Golgota, il luogo del supremo sacrificio dell’Uomo-Dio. La stessa forma geometrica della montagna, questo triangolo proteso verso l’alto, è stata interpretata simbolicamente, fin dalle culture più antiche, quale luogo privilegiato di incontro fra l’umano ed il divino.
La sua maestosità, la visuale così ampia, la sua inaccessibilità e l’altezza producono sensazioni ed emozioni che non si limitano alla percezione meramente fisica, ma scuotono l’anima facendosi occasione di meditazioni interiori.
L’ascensione alla vetta si riempie così di un nuovo significato che va ben oltre il concetto di conquista, intesa come appropriazione, impossessamento. La salita alla vetta quale mera prova di forza, affermazione delle proprie capacità, è un’esperienza che appare destinata ad esaurirsi nel breve termine, poiché quando tutte le vette saranno conquistate, si correrà il rischio, per poter vivere nuove emozioni, di dover sfidare le pericolosità, dare prove di eroismo, in una sorta di paradigma superomistico, quasi nel desiderio di abbassare le montagne e non più di ascenderle. La vera esperienza della montagna, accezione che tentiamo di declinare nel nostro Festival, invece, simbolicamente intesa quale scalata della propria Montagna Sacra, verso l’incontro con sé stessi ed il trascendente, è un cammino inesauribile. Un cammino che richiede – sempre usando la simbologia della montagna – di scendere anche nella grotta, quel triangolo capovolto che è il completamento della montagna, poiché ne è l’opposto, in una sorta di salita e discesa, un cerchio eterno della ruota della vita, come dicono i monaci tibetani.
Scendere nella grotta e poi ascendere verso la cima richiede uno svuotamento interiore, una Kenosis, una filosofia della rinuncia, quell’alpinismo della rinuncia di cui parla Reinhold Messner, intendendo una rinuncia non solo strumentale, ma soprattutto essenziale e spirituale.
Attraverso questo percorso simbolico ed anagogico, si potrà ascoltare veramente quel silenzio profondo della montagna che parla più di tante parole.